[STAR TREK UNIVERSE] Star Trek e l'utopia di Gene Roddenberry | Talking Trek

Nel lontano 1966 nasceva uno dei franchise di fantascienza più longevi del mondo televisivo, quello di Star Trek, ideato dalla mente geniale di Gene Roddenberry con la sua primissima serie TV: Star Trek, successivamente rinominato come The Original Series, la Serie Classica.
Essa fece immediatamente scalpore: tra l'equipaggio della U.S.S. Enterprise (NCC-1701) erano presenti un ufficiale di colore, Nyota Uhura (interpretata da Nichelle Nichols, che proponeva quindi il primo esempio di un personaggio di colore con un ruolo di comando all'interno di un equipaggio composto da un cast multirazziale) e, dalla seconda stagione, Pavel Chekov (interpretato da Walter Koenig, personaggio di origine russa - e con un fortissimo accento, pur essendo residente in America).
In Star Trek: The Next Generation (così intitolata in quanto collocata, a livello temporale, nella generazione successiva rispetto a quella di Kirk&co.) LeVar Burton e Whoopi Golberg interpretano rispettivamente l'Ingegnere Capo Geordie La Forge e la barista El-Auriana Guinan; tra le storie narrate troviamo i primi accenni ad argomenti altrettanto spinosi quanto la presenza di un equipaggio interrazziale, sfiorando il tema della sessualità e dell'identità di genere (in L'ospite e in Il diritto di essere, per citarne due). Argomento che trova un approfondimento maggiore (per quanto ancora limitato) in Star Trek: Deep Space Nine, dove nella puntata Riuniti assistiamo al primo bacio tra due persone dello stesso sesso (Jadzia Dax e Lenara Kahn) proposto sul piccolo schermo - il che ci permette di affrontare più nello specifico anche la psicologia dei Trill, razza aliena con una percentuale della popolazione che si congiunge a un simbionte.

In Star Trek: Voyager, quarto live action dell'universo roddenberryano, il personaggio di Sette di Nove risulta particolarmente "ambiguo" da questo punto di vista, sebbene gli autori non abbiano mai effettivamente trovato il coraggio di fare il grande passo e caratterizzare come si deve il personaggio in quell'ottica (in Star Trek: Picard, la cui prima stagione è uscita nel 2020, le convinzioni dei più sono state confermate e il personaggio interpretato da Jeri Ryan ci viene presentato come appartenente al mondo LGBTQ+). Infine, in Star Trek: Discovery l'ingegnere capo Paul Stamets e il Dottor Hugh Culber rappresentano la prima coppia apertamente gay all'interno di un franchise che, fin dagli anni Sessanta, si propone al suo pubblico sempre innovativo e in avanti rispetto ai tempi.


Ma a parte le componenti dei singoli equipaggi, il motto di Star Trek è ben rappresentato nella filosofia vulcaniana (introdotta da Roddenberry nella Serie Classica) e concentrata nell'acronimo "IDIC" (Infinite Diversity in Infinite Combinations), sostanzialmente simboleggiante, secondo le parole di Spock, tutti quegli elementi che creano verità e bellezza.

Mi sento di affermare senza troppi patemi d'animo che questo detto vulcaniano (se così lo si volesse chiamare) rappresenti l'anima di Star Trek, che da sempre ha voluto proporre un universo sì utopistico e, tristemente, non sempre attuabile o realistico, ma che ha instillato nella maggioranza dei suoi fan i germi per essere persone migliori, pronte ad accettare e accogliere il diverso. Cosa che, ancora al giorno d'oggi, purtroppo non è poi così scontata e immediata, come si è potuto vedere in non poche occasioni e anche recentemente.

Tra alcuni dei personaggi più interessanti presenti all'interno del franchise possiamo sicuramente inserire, a parte quelli sopracitati, anche il Conestabile Odo, addetto alla sicurezza di Deep Space Nine durante il comando di Benjamin Sisko (primo personaggio di colore ad assumere una posizione di comando stabile in una serie Trek). Essendo un mutaforma, infatti, potrebbe assumere qualsiasi forma gli facesse piacere ed è solo per "abitudine", probabilmente, che come forma fissa mantiene quella di un umanoide maschio.

Star Trek è, quindi, un mondo in cui l'accettazione del diverso e dell'altro è ben radicata, un mondo di inclusione e innovativo, che potremmo definire sempre sul pezzo. Importante è rendersi conto dell'importanza rivestita dai temi toccati da una serie televisiva di questo calibro, che all'inizio del XXI secolo ha anche portato sul piccolo schermo il primo capitano donna del franchise, ovvero Kathryn Janeway, dispersa nel Quadrante Delta assieme al proprio equipaggio e alla propria nave, la U.S.S. Voyager.

Star Trek è bello anche per gli importanti messaggi trasmessi, non dimentichiamocelo. Live Long and Prosper!